di Andrea Luxoro

 

“… E le casette, sparse su tutti i pendii dell’isola, sembrano, da lontano, non costruite là, ma collocate là da un “presepita” estroso e ricercatore dell’effetto pittoresco…”

 

Così il giornalista genovese Giovanni Ansaldo nel 1955 descriveva, durante la traversata fra la Sardegna e l’Isola di San Pietro, il fascino creato dalle innumerevoli case di campagna sparse sul profilo costiero isolano. La baracca in tabarchino, rappresenta l’elemento antropico dominante su gran parte del territorio isolano, unitamente agli innumerevoli chilometri di muretti a secco, intimamente legati allo sfruttamento del fertile territorio vulcanico isolano. La loro diffusione è frutto dell’esperienza vitivinicola isolana, fra le attività più prospere nel XIX secolo. Nel corso di un secolo la loro fruizione si è modificata in maniera significativa sino a diventare oggi, luoghi di residenza annuale, tranquille dimore immerse nella natura incontaminata dell’isola di San Pietro.

Per un tabarchino a vigna è il podere di campagna, generalmente costituito da una casa rustica più o meno grande ed una quantità variabile di terreno adibito a vigneto, frutteto, orto o semplicemente ricco di macchia mediterranea o di una folta pineta. Il nome ne tradisce la primitiva vocazione: la viticoltura. Luogo privilegiato delle attività terrestri degli uomini carlofortini, di frequente alternato al lavoro marittimo, la vigna sino alla seconda metà del ‘900 si popola di tutta la famiglia solo nel mese di settembre: un vero esodo che svuota di umanità il centro urbano per circa un mese, sino alla duménega da pignatta, ultima domenica del mese, che sancisce il controesodo verso il paese. I fertili terreni sabbiosi, per anni coltivati a vite con la tecnica dell’alberello, spesso strisciante nelle zone più battute dal maestrale, hanno prodotto per decenni, protetti dalla filossera, migliaia di botti di vino. Parte della produzione era commercializzata in Francia dagli stessi carlofortini, che armati di una piccola flotta di piccoli battelli in legno, compivano la ciclica metamorfosi da uomini di terra a lupi di mare.

La casa di campagna è nell’immaginario collettivo odierno invece il luogo della convivialità, dell’incontro, della festa che per i tabarchini si condensa nel nome casciandra: cibo, amici, buon vino e qualche canzone nostalgica ed il rito è compiuto, finché un nuovo giorno di festa non richiamerà all’adunata la comitiva … anémmu à fò a spàiza?

 

Andrea Luxoro nasce a Carloforte, dove tuttora vive e lavora. Studia a Cagliari e si laurea in antropologia, presso la facoltà di Lettere, con una tesi sui “lavoratori del mare di Carloforte”. Ha fondato con un gruppo di studiosi locali l’Associazione Culturale Saphyrina e l’Asuciasiun cultürole tabarchiña che valorizzano e promuovono la cultura, la storia e la lingua delle comunità tabarchine del Mediterraneo. Cura la rassegna letteraria “Pocomabuono” e ha fondato la Fiera del Libro di Carloforte. Coordina lo Sportello linguistico tabarchino di Carloforte, è consulente scientifico per il Polo della lingua tabarchina e promuove iniziative culturali su molti fronti. Lo trovate sempre preparato e disponibile presso l’edicola “Dai giurnoli in sciâ ciassa” (Piazza Repubblica).