La tonnara

Le origini della tonnara, nel Mediterraneo, guardano alle coste del Nord-Africa. Sono le stesse della comunità tabarchina, che in quelle onde lontane navigò, tanto tempo fa. A mostrare la derivazione dal mondo arabo di questa antica tradizione, è la lingua stessa parlata dai tonnarotti: è Rais, il capo unico che coordina le azioni della compagnia al lavoro. Rais ovvero re.

Quella di Carloforte è una delle ultime tonnare ancora attive nel Mediterraneo. Tonnara è l’insieme delle reti che si tengono a mare quando è tempo: è l’impianto, ovvero l’isola, costituito di una serie di camere collegate una all’altra, nell’ultima delle quali, quella della morte, si svolge la mattanza.
Tonnara è però anche l’evento della pesca, e l’edificio a terra che ospita il lavoro e i lavoranti. È poi, essenzialmente, un modo di pescare il tonno: in passato il più diffuso. Un modo che è anche un mondo e richiede la partecipazione di una folla di persone, a terra e in mare, chiamata a svolgere compiti precisi con perizia e senza errore. Ognuno è coinvolto nell’impresa, collabora alle operazioni che porteranno alla mattanza delle grandi prede, ed al contempo è partecipe di un rito collettivo, che a tutt’oggi finisce col richiamare a sé, ogni anno, l’intera comunità tabarchina.

La ciurma

L’avventura per i tonnarotti comincia ad aprile: un direttore di baracca dirigerà la lavorazione del pescato, sarà quindi responsabile della ciurma di terra, fatta di cuocitori, barilari, stagnini, oleari, dispensieri, magazzinieri e sorveglianti. L’altra squadra è già in mare, a calar le reti e a sorvegliarle. Di giorno sulla bastarda, con lo sguardo rivolto al fondo e all’arrivo dei pesci nella rete; di notte sullo schifetto, con gli occhi persi nel buio delle onde. Ad ognuno il proprio compito, nel compimento dell’impresa, e le parole per dirlo; a tutti la sicurezza di una barca nella quale lavorare, costruita con attenzione, tenuta in efficienza tutto l’anno dalle mani più esperte del paese. E se le barche sono la musciora, il vascello, il capo-rais, i palischermotti, le bastarde, il barbariccio e gli schifetti, gli uomini che ci lavorano sono i bastardieri, i musciarieri, i palischermieri, che si aggiungono agli immancabili maestri d’ascia e ai calafati per comporre una compagnia affiatata, che risponde innanzitutto a chi della tonnara governa ogni gesto e ogni fiato: il Rais.

La mattanza

È il Rais che dice quando è tempo di mattanza, tra la metà di maggio e la metà di giugno: controlla il passaggio dei tonni, quando il dedalo delle reti è messo a mare, accudito, sorvegliato. Attende il tempo necessario, il momento più opportuno. E poi la sera prima della pesca si rivolge al capo baracca, a terra, e pronuncia un laconico “duman se va in etu”, domani si va in alto. Ed è il segnale atteso.
Alle prime luci, a bordo della musciòra, percorre in lungo e in largo l’isola della tonnara, attento allo spostamento dei tonni, pesandone con gli occhi gli esemplari, mentre la ciurma dalle barche strette in cerchio manovra le porte di rete dopo il passaggio degli animali da una camera all’altra. Il silenzio è rotto dai pochi ordini attesi. Poi i grandi predatori attraversano la camera di ponente per entrare in quella della morte: l’ultima porta si chiude e il Rais invita la ciurma alla preghiera prima della mattanza. I tonnarotti a forza di braccia cominciano a sollevare il corpo ondeggiante della rete e presto lo specchio d’acqua si fa agitato per il dimenarsi dei tonni spaventati, che affiorano, si stringono e urtano il barbaricciu, la barca al centro della bolgia, dalla quale il Rais darà l’ordine più atteso: matta! matta! Mani alle aste, i tonnarotti avvicinano i tonni alle murate del vascello e del capo-rais, dove verranno issati a bordo, mentre il mare si arrossa.

Una pesca d’altri tempi che rispetta l’ambiente

Molta parte del mondo cresciuto attorno al grande rituale collettivo che è la tonnara, nel corso della storia è cambiato: se un tempo a portare sul posto la flotta impiegata nella pesca (il barcareccio) erano i rimorchiatori mossi a forza di braccia, oggi sono le barche a motore; se un tempo gli acquirenti del pescato erano i locali, oggi è soprattutto il Giappone dei grandi artisti del sushi a volerlo per sé. E però a conservare il senso di ciò che fu per secoli è rimasta la lingua viva, e ancor oggi che le cose son cambiate, le parole, i nomi delle cose sono quelli antichi. Molto del lavoro si svolge ancora come fu nei secoli passati: quello della tonnara si rivela a tutt’oggi tra i vari modi della pesca praticati, il meno dannoso per la specie, a dispetto del suo carattere cruento. Il più sostenibile nel suo scegliere i capi da pescare, nel risparmiare gli altri.
Nel suo confronto diretto con la forza del tonno, sono da sempre il rispetto dell’animale e la necessità sentita di salvaguardare il suo ambiente naturale.

 

Foto: Cédric Dasesson